Riforma delle pensioni: cosa c’è dopo quota 100
La riforma delle pensioni in Italia è un tema caldo, sempre molto sentito dai lavoratori in procinto di terminare il proprio percorso lavorativo. Con la legge di bilancio del prossimo anno, il governo ha previsto di abbandonare Quota 100, che non sarà più in vigore dal 31 dicembre 2021.
La riforma del sistema pensionistico è incentrata su Quota 102, una soluzione per trovare un equilibrio anche per gli anni a venire. Ragionare in termini di sostenibilità pensionistica è l’unica direzione possibile, per permettere che in futuro si possano favorire sistemi flessibili in uscita più equi.
Cos’è Quota 102
Quota 102 per il prossimo anno, a cui seguirà quota 103 nel 2023 è la scelta del governo Draghi per garantire un graduale ritorno alla legge Fornero senza creare nuovi scaloni d’età per andare in pensione.
Con Quota 102 si va in pensione a 64 anni d’età o 38 anni di contributi (con la legge Fornero servono 67 anni o 42 anni e 10 mesi di contributi) e riguarderà circa 50mila persone.
Al risparmio per lo Stato si contrappone una perdita economica che si attesta tra i 50 e i 150 euro su redditi pari a 30 mila euro lordi. L’obiettivo del governo italiano per il futuro è comunque quello di tornare al sistema pensionistico contributivo.
Perché non piace Quota 100
Riformare le pensioni è indispensabile ed è forse l’unico modo per garantire anche ai giovani di oggi di poter riscuotere la pensione a fine dell’attività lavorativa. Quota 100 permetteva di andare in pensione anche a 62 – 63 anni, con una criticità per le casse dello Stato negli anni a venire.
E’ chiaro che a rimetterci in questo caso sarebbero le nuove generazioni che rischierebbero di non percepire i fondi a loro destinati. L’INPS ha fatto i suoi conti e le finanze dello Stato con Quota 100 devono sostenere cifre enormi già per coloro che l’hanno richiesta. Si stimano quasi 19 miliardi di euro fino al 2030 per elargire la pensione a 341 mila persone.
Cos’è e come funziona la pensione integrativa
RITA è la sigla che si riferisce alla pensione con la rendita integrativa temporanea anticipata che, come scritto in questo articolo, è stata introdotta nella Legge di Bilancio del 2017, per permettere un pensionamento anticipato rispetto a quello anagrafico previsto.
Il sistema è concepito per dare un sostegno ai lavoratori che hanno perso il lavoro, e di questi tempi in cui la situazione previdenziale è alquanto complessa è certamente un’alternativa interessante.
In pratica la RITA permette di ricevere la pensione 5 anni prima di quella di vecchiaia, che viene erogata al raggiungimento dell’età, oppure 10 anni prima se non si ha un’occupazione per un minimo di 24 mesi.
Chi non lavora da 2 anni, ha 57 anni di età e possiede almeno 20 anni di contributi può rientrare nella RITA. Per accedere a questa formula occorre anche aver versato i contributi in un fondo per la pensione integrativa (clicca qui per approfondire) per almeno 5 anni. Quasi tutti i fondi complementari supportano la RITA per cui è possibile godere di questi benefici.
In alcuni casi è possibile accedere alla RITA anche se si hanno 62 anni, 20 anni di contributi e 5 anni con i contributi in un fondo complementare, anche se si lavora ancora. Ovviamente bisogna interrompere il rapporto lavorativo esistente, per riprenderlo eventualmente una volta che la prestazione è stata erogata.
Quali sono i lavori gravosi che consentono l’uscita anticipata
Con la riforma del governo Draghi aumenta il numero delle attività lavorative definite gravose (vedi la lista), che passano da 65 a 203. I lavori usuranti sono tutti quelli pesanti, per cui è previsto l’anticipo dei tempi pensionistici a 63 anni di età.
Lo stress lavorativo è stato associato a molte altre attività che vanno ad aggiungersi a quelle già prima riconosciute. Ci sono gli insegnanti della scuola primaria, i falegnami, i cassieri, i tassisti ma anche i bidelli e i macellai e molti altri mestieri.
Questa inclusione di nuove professioni consentirà l’uscita anticipata dal mondo del lavoro non più a 67 anni bensì a 63. I 4 anni saranno coperti dall’assegno ponte erogato dall’INPS che anticipa la pensione vera e propria.